Suor Liduina Angela Meneguzzi nacque, il 12 settembre 1901, ad Abano Terme, in località Giarre, provincia di Padova, secondogenita degli otto figli di Giuseppe Meneguzzi e Antonia Norbiato. La sua era una famiglia molto modesta di contadini, ma ricca di onestà e di fede, valori che la bambina assimilava ben presto. Al Battesimo, il 24 settembre, ricevette i nomi di Angela ed Elisa, e fu chiamata poi Angelina.
“A far la serva” presso la famiglia Sette
Angelina trascorse l’infanzia nell’ambito familiare e frequentò la scuola locale. Terminata la scuola all’età di 14 anni, per andareincontro alle esigenze economiche della famiglia, iniziò a prestare servizio presso famiglie benestanti. In particolare Angelina comincia a “far la serva” per usare il brutale ma realistico gergo popolare, presso i signori Sette, di cui i Meneguzzi sono fittavoli. I Sette abitavano a Padova in via Sperone Speroni, ma avevano una casa pure in prossimità della stazione ferroviaria di Abano, sulla strada che va da Giarre al centro termale. Si trattava di una famiglia molto in vista, che poteva contare su una fitta rete di rapporti, sia con il mondo civile che con quello ecclesiastico. La signorina Lucrezia, avrà parte attiva nella nascita del circolo universitario “Elena Cornaro” intorno agli anni Venti, così come si mostrerà sempre molto sensibile alla vita e alle necessità delle missioni.
Presso la famiglia Sette, Angela si ferma sino al termine della prima guerra mondiale. Vi tornerà saltuariamente per sostituire qualcuno. Durante uno di questi “rientri” sono ospiti a pranzo l’arciprete di Abano e Don Giuseppe Danese, un tempo compagno nei giochi infantili e ora sacerdote. In questi anni è al servizio anche nella casa dei cappellani di Abano che, durante l’estate, si trasforma in un piccolo seminario, dal momento che ci vivono anche i cinque seminaristi originari del paese. Angelina considera un privilegio la possibilità di essere utile ai suoi preti e ai giovani aspiranti al sacerdozio.
Dopo la morte del padre, il 5 dicembre 1925, il suo lavoro divenne ancora più importante per il sostenimento della famiglia. Andrà a lavorare negli alberghi di Abano, che erano numerosi per offrire agli ospiti efficaci cure terminali. Nelle pause di lavoro si recava in chiesa per visitare Gesù Eucaristico che sarebbe diventato il centro della sua vita. Allo stesso tempo collaborava in parrocchia, nell’Azione Cattolica, insegnava il catechismo e distribuiva buoni libri e scritti.
La chiamata
A 25 anni desiderosa di consacrare tutta la vita al Signore, entra nell’Istituto delle Suore di S. Francesco di Sales a Padova dove prende il nome di Suor Maria Liduina. Qui continua il suo intenso cammino spirituale diffondendo intorno a sé la sua bontà, vivendo ogni suo momento nella semplicità, nell’umiltà e soprattutto nell’amore verso Dio e i fratelli. Destinata nel Collegio S. Croce, tra le ragazze, opera per 11 anni come guardarobiera, infermiera, accompagnatrice, educatrice, ed esse scoprono in lei un’amica capace di ascoltarle, aiutarle nei loro piccoli problemi e dare qualche consiglio. In tutte lascia una traccia incancellabile di tenerezza, di serenità e pazienza a tutta prova.
Un desiderio segreto l’accompagna: andare in Missione. Quante volta diceva: “Oh, se potessi andare in Africa!”. Nel febbraio 1937 il suo sogno si realizza. I Padri cappuccini presenti in Etiopia chiedono alla Madre Generale l’aiuto di alcune suore. Partono in 16 e tra queste viene scelta anche Suor Liduina.
Finalmente. A Dire Dawa
Dai Superiori è inviata come missionaria in Etiopia, a Dire Dawa, una città cosmopolita per la presenza di gente dalle origini, costumi, religioni diverse. E qui, in tale mosaico di razze e di religioni, l’umile suora si dedica con fervore alla sua azione missionaria. Non ha grande cultura teologica, ma una forte carica interiore, alimentata dal contatto profondo con Dio. A Dire Dawa suor Liduina seguì in un primo tempo i bambini e le loro mamme, ma ben presto venne chiamata a svolgere servizio infermieristico all’Ospedale Civile Parini che, una volta scoppiata la guerra, divenne ospedale militare, dove convergevano i soldati feriti, verso i quali Liduina è veramente “angelo di carità”. Con tenerezza e dedizione instancabile, curava i mali fisici, vedendo in ogni fratello che soffre l’immagine di Cristo.
Sorella “Gudda”
Ben presto, il suo nome risuona sulle labbra di tutti, e la cercano, la invocano come una benedizione. Gli indigeni la chiamano “Sorella Gudda” (Grande).
Quando i bombardamenti infuriano sulle città e sull’ospedale, da tutte le bocche esce un unico grido: “Aiuto, Sorella Liduina!”.
E lei, incurante del pericolo, trasporta i feriti nel rifugio e corre subito in aiuto di altri. Si curva sopra i morenti per suggerire un atto di contrizione e con l’inseparabile ampolla dell’acqua battezza i bimbi spiranti.
Il suo dono non si limita agli italiani, ai cristiani, ma con vero spirito ecumenico, si volge a bianchi e neri, a cattolici e copti, a musulmani e pagani. Gli indigeni, quasi tutti musulmani, ne restano affascinati e provano una simpatia nuova per la religione cattolica.
Le viene attribuito l’appellativo di “fiamma ecumenica”, perché molto prima del Concilio Vaticano II attua uno degli aspetti più raccomandati dell’ecumenismo. Le anime di Dio precorrono i tempi: sono come fari luminosi che additano la direzione da seguire anche nel buio più fitto.
Le sue cure si estesero anche ai morti che purtroppo aumentarono sempre di numero. Alla fine di giornate faticose si recava al cimitero per pregare e deporre fiori sulle tombe, sostituendosi così alle mamme e alle spose lontane, forse ignare della sorte dei loro cari. Però Liduina, stremata dalle fatiche, dal torrido clima africano, soprattutto da varie malattie (malaria, tifo addominale, piaghe tropicali, grave tumore) giunse al capolinea del suo viaggio terreno, viaggio piuttosto breve, però intenso, carico di bene. Venne sottoposta ad intervento chirurgico, che sembrava ben riuscito, ma succedono complicazioni e una paralisi intestinale, il 2 dicembre 1941, stronca la sua vita.
Suor Liduina muore santamente, a 40 anni, pienamente abbandonata alla volontà di Dio, offrendo la sua esistenza per la pace del mondo.
“Non ho mai visto nessuno morire con tanta gioia e beatitudine”
Un medico, lì presente, afferma: “Non ho mai visto nessuno morire con tanta gioia e beatitudine”.
Per desiderio dei soldati che la piangono come una di famiglia, viene sepolta nel cimitero di Dire Dawa, nella parte a loro riservata.
Dopo vent’anni, nel luglio 1961, le spoglie di Suor Liduina sono trasportate a Padova in una Cappella della Casa Madre, dove amici e devoti vengono a salutarla e a invocare la sua intercessione presso Dio. Il 20 ottobre 2002, Liduina Angela Meneguzzi è stata proclamata Beata da Papa Giovanni Paolo II.